Il becco giallo
(trilogia d'inverno - atto primo)
“Dimmelo ancora. Dai.
Dimmelo ancora.”
Ma tu taci.
Ascolti e sorridi senza nemmeno renderti conto della piega dolce del tuo viso
mentre lei al telefono te lo chiede ancora.
E torna alla tua mente il piccolo merlo dal becco giallo incontrato poco prima,
sul balcone, mentre fumavi.
“Dimmelo che davvero..”
No. Non glielo dici.
Il merlo era arrivato fin quasi ai tuoi piedi, incurante di te quasi, come se ti
dicesse che non ti aveva visto e così facendo pensasse di essere a sua volta
invisibile e protetto e sicuro. Come i bambini fanno, coprendosi il viso nella
speranza di essere invisibili per un istante solo.
“Dai, dimmelo che ce l’hai davvero..”
Il merlo piccolo, quel becco arancione alla ricerca di piccole felicità scosse
da una tovaglia la sera prima si era avvicinato incurante del rischio fino a
pochi centimetri dai tuoi piedi. E lo hai osservato, dissimulando la tua
attenzione, quasi avessi paura che, accorgendosene, volasse via.
Che poi tu pensassi a lei in quel momento e in quella circostanza è cosa strana.
Piccola abbastanza da dover avere forse paura. E anche le sue domande eccitate
dall’attesa ora ti hanno fatto pensare ancora a quel becco giallo.
A quel picchiettare, scostando il capo. Di scatto, a lato.
Poi il merlo era volato all’altro lato della strada, tu avevi spento la
sigaretta ed eri rientrato richiudendo l’anta, dopo averlo perso di vista quasi
immediatamente in quel suo volo tra le case della strada.
“Sì. L’ho preso. E’ tuo il gioco.”
E ti sei accordato sul luogo.
L’ora.
Poi hai preso il piccolo pacchetto e sei uscito per andare al lavoro.
E hai atteso l’ora.
Senza più richiamarla, quasi avessi paura che notandoti di nuovo lei potesse
volare via.
Hai messo in tasca, dopo aver infilato il giaccone, la mano a cercare se il tuo
regalo c’era ancora.
Più per istinto e per verificare che tutto fosse vero che per il dubbio di
averlo potuto mai dimenticare.
Che non vi siate baciati appena vi siete trovati viso a viso è cosa certa. Forse
nemmeno così strana.
L’hai stretta, tanto, e lei si è lasciata avvolgere da te, forse sentendosi
ancora più bambina di quanto poi in realtà lei fosse. Forse perché voleva lei
esserlo in quel momento.
Poi l’hai presa sotto braccio e vi siete seduti lì, sotto l’ombrello caldo,
incandescente messo a lato del tavolino della trattoria. Quello che fa da sole
anche in questa stagione di inverno incerto e mezzo sole.
E ti permette di guardarla sotto la luce del sole d’inverno.
Il calore del gas che arroventa il bruciatore sopra di voi e che batte sopra il
viso, un lato, quello esposto al radiatore che di botto comincia quasi ad aver
caldo e ribollire. La schiena che si tiene stretta nel giaccone, il lato
all’ombra che ricorda dove siete e quando. E che intorno fa ancora freddo anche
stamani.
Lei ha aperto il suo cappotto, indossa un maglione che le fascia il seno, a
stento tu trattieni la mano che affonderebbe lì, nascosta alla vista di chi è
seduto ai tavoli vicini dal cappotto che fa da cortina a lato. Immagini il suo
viso se la mano si posasse ora.
Sul suo seno. Sul suo respiro di lana nera, morbida. Calda e sottile di piccoli
peli invisibili se non al tatto e vaporosi.
Forse lei se ne accorge, lo sente in qualche modo perché arrossisce e sorride un
po’ impacciata.
Come se la tua mano lì si fosse davvero già posata.
Infili la mano in tasca nell’istante esatto in cui, da dietro alle tue spalle
arriva un cameriere.
Posi il pacchetto con la carta di Natale, l’unica che hai trovato in casa, nella
fretta. E il nastro e il fiocco che hai messo solo per vedere come le sue dita
si sarebbero mosse per scartarlo..
Lo posi lì, quasi a metà tra voi, ma solo un poco più vicino a te che a lei.
Perché colmare quella distanza sporgendosi per lei sia un viaggio.
Nei suoi desideri. Che tu possa assaporare.
Un cappuccino e un caffè. Il caffè per te.
La guardi mentre guarda. Il pacchetto piccolo. Sul tavolo.
Poi prenderlo, tenerlo in mano, farlo girare. Lo agita un poco quasi non sapesse
che sorpresa cela.
Posi la mano sulla sua. Lei ha mani piccole, quasi fragili, dita più lunghe
delle tue.
Sottili.
Quasi volessi scartare tu il pacchetto avvolto, dalle dita che lo celano
avvolgendolo della sua carne chiara ora.
Lei forse fraintende il gesto. O finge di scambiarlo per una tua qualsiasi
esitazione.
“Eh no. Adesso è mio”
E ride, sfilando la sua mano dalla tua, posandola davanti a sé e cominciando ad
aver ragione dell’involto.
Apre la piccola scatola di cartone come se aprendola troppo velocemente potesse
esploderle tra le mani.
Piccoli colpi di becco giallo nella tua testa.
Poi si alza. Si avvicina a te col cappotto aperto, largo sulle anche.
Appoggia il ventre contro il tuo viso, tu seduto senti il calore del maglione e
il suo corpo premere e il suo odore. La sua carezza tra i capelli.
Il tuo viso che affonda nel suo ventre giovane di donna.
Si china e posa un bacio, perché ora è ora. E’ ora che le sue labbra tu le
conosca.
Bacia con delicatezza te, china, tu sei seduto e ei ancora in piedi, anche se
senti che, come te, le schiaccerebbe, le incollerebbe alle tue, e quasi senti il
freno che impone alla sua lingua.
Di certo sei cosciente di quello che stai imponendo alla tua.
Solo un piccolo anticipo, un assaggio crudelmente breve per scelta del suo e del
tuo sapore.
“Aspettami”
E va. Verso la porta, entra nella trattoria, la segui mentre chiede qualcosa al
cameriere dietro la porta a vetri solo leggermente appannata. Hai seguito
l’ondeggiare del cappotto e il ripetuto scoprirsi della coscia dopo il passo, il
velo della calza, il muscolo nascosto dalla corta gonna.
Al tavolo di fianco parlano di lavoro.
Un uomo che avrà la tua età e uno più giovane accompagnato da una donna. Ti
arrivano solo vocali e sillabe improvvise, parlano piano, come se avessero
segreti da non rivelare e solo l’emozione ogni tanto facesse emergere distinto
un suono.
Seduto, hai la mano in tasca. Nel giaccone.
Dove prima avevi tenuto il suo tesoro.
Aspetti, bevi il caffè che è quasi freddo, amaro, copri il suo cappuccino col
piattino perché non diventi troppo freddo.
Immagini lei in bagno.
Aprire del tutto il cappotto.
Scostarlo a lato.
Alzarsi con una mano la gonna. Le calze alte sulla coscia e la sua pelle chiara
prima delle mutande.
Il suo armeggiare scostandole di lato con l’altra mano. Poi il cappotto
richiudersi a sipario sul suo armeggiare breve lì sotto al buio.
E dopo il suo risistemarsi e prepararsi al ritorno.
Lei ci teneva da tanto.
Ad un tuo regalo.
Eccola.
Con il cappotto lungo aperto uscire dalla porta.
Camminare ostentando sicurezza, quasi fosse una sfida farlo. Ma quando vede che
sorridi sorride di rimando.
Si siede, cambia sedia questa volta. Ora è davanti a te, siete quasi dalla
stessa parte del tavolino tondo. Il cappotto fa da cortina aperta alle sue
cosce. La riga delle calze spunta sulle cosce dalla gonna.
“Ti ho coperto il cappuccino perché diventava ghiaccio” e nel dirlo lo scopri e
glielo porgi.
Lei posa la mano.
Sul tavolo, il palmo sotto.
Sollevata.
Tu posi la tua sulla sua come un guscio, senti le dita sotto le tue, fresche,
diventare lì al chiuso dell’ostrica di dita, sempre più tiepide poi calde.
Stringi le dita sulle sue, le avvolgi.
Le stringi finchè le sue finiscono col serrare stretto il piccolo oggetto che
celavano sotto.
Poi giri la mano ruotando la sua sottosopra. Apri la stretta della dita a fiore.
Lei fa lo stesso con le sue.
“Vuoi?”
Lei ti risponde con un sorriso nuovo, caldo, sfrontato, di sfida, da donna.
Fissandoti negli occhi accoglie te che ripeti la tua domanda.
“Vuoi?”
Lei in risposta prende il piccolo oggetto che celava in mano e lo lascia, lo
deposita con calma guardandoti negli occhi sul palmo della tua mano aperta. Poi
con le sue dita lentamente chiude le tue perché avvolgano il piccolo telecomando
come una conchiglia.
Ti sorride e ti sembra così indifesa, piccola, fragile e desiderabile nella sua
sfrontatezza e così nuda in quel momento, come mai prima l’avevi vista. Poi lei
chiude gli occhi.
Tu schiacci un tasto.
Il piccolo uovo freddo dentro il suo sesso comincia a vibrare e a farsi caldo.
Lei butta indietro la testa e vedi i suoi capelli farsi onda sul colo del
cappotto.
Socchiude le labbra ad occhi chiusi.
Poi si morde il labbro inferiore e serra forte, con la gonna alta e l’orlo delle
calze offerto alla tua vista le sue cosce.
Dentro di lei impercettibile al tuo orecchio il piccolo uovo lucido e bagnato
adesso vibra e lei si scioglie.